Siamo davvero sicuri di percepire l’allarme ambientale?
Per gran parte del suo ultimo libro, Foer se lo chiede, e si sofferma non tanto su quello che sappiamo sulla crisi climatica, ma su quello che siamo disposti a fare, o non fare, per salvare il pianeta.
Lo scrittore riporta fatti e dati, utilissimi per farsi un’idea di massima sulla questione. Una questione che però continua ad essere marginale, nonostante la tempesta mediatica, nonostante le manifestazioni in piazza, nonostante la condivisione di articoli sui social. Marginale perché la sentiamo distante dalla nostra vita individuale, dal rapporto con le persone che frequentiamo e dall’ambiente in cui viviamo. Ed è questa enorme distanza a paralizzarci, ad impedirci di prendere una decisione. Questo libro si propone un fine pratico, lo scrittore si concentra su una risposta immediata al problema, trascurando aspetti e implicazioni filosofiche, anche se poi, capitolo dopo capitolo, la sua domanda iniziale continua a rimanere aperta: perché l’emergenza ambientale non coinvolge la nostra sfera emotiva? Perché l’azione è subordinata a un’emozione forte?
Evidentemente questa riflessione è tutt’altro che pratica, quindi penso che la vera incognita non sia la distanza tra noi e la crisi ambientale, ma innanzitutto la distanza tra noi e l’ambiente naturale. Siamo totalmente sradicati e intossicati che non ce ne rendiamo più conto. Quanti di noi si soffermano a pensare quanto sia sottile l’equilibrio che mantiene in vita il pianeta, possiamo davvero credere che il nostro respiro dipenda da un vento che ogni anno soffia sul Pacifico spargendo sostanze che servono a mantenere vivo un ecosistema? La mancanza di empatia con la Terra è insita nella cultura occidentale, una cultura patriarcale, astratta e dominante, e fin quando l’uomo si crederà il padrone mondo, fin quando il pianeta verrà concepito come ‘altro’ dal nostro stesso corpo, non ci sarà mai una vera presa di Coscienza. Qualche illustre psicoterapeuta avanza l’ipotesi che il male oscuro, sempre in crescente aumento, sia strettamente collegato alla salute dell’ambiente. Connessioni sottili a cui non possiamo dar credito se non per pochi istanti occasionali, magari davanti a un’alba o a un tramonto, durante una breve vacanza o una passeggiata nel verde, ma poi il più delle volte tutto resta distante e congelato, lontano dalla nostra esistenza.
Ma questa ultima riflessione richiede troppo tempo, e di tempo non ne abbiamo, infatti lo scopo del libro di Foer è di tutt’altro impatto, ha una funzione pragmatica nell’immediato, anche l’intreccio della narrazione saltella spedito, agli aneddoti di cronaca s’intrecciano elenchi di dati statistici, poi lunghe confutazioni, obiezioni, decisioni personali e debolezze, speranze forse. Poi, neanche a metà libro c’è un gong, e tutto si condensa in una sola frase: “Questo libro parla dell’impatto dell’allevamento insensivo sull’ambiente”. E che vogliate crederci o no è l’unica cosa reale su cui si può operare nell’immediato, poiché è la cosa che ha più incidenza sulla riduzione dei gas nell’atmosfera. Oltre a questo, ovviamente, lunghe considerazioni e appunti per una vita ecosostenibile.
Il libro torna più volte ad eventi critici del passato, momenti in cui l’umanità è stata chiamata ad agire, “a fare una ola” – come propone lo scrittore – un’onda di miliardi di piccoli gesti a catena, una forza immensa che potrebbe incidere notevolmente, non sulla qualità della nostra vita, ma sulla sopravvivenza della vita stessa. Quindi ancora una volta la prospettiva rientra nei canoni ordinari, poiché per far fronte ad una situazione d’allarme bisogna agire anche con la poca consapevolezza che ci rimane, se ne abbiamo ancora un briciolo.
Foer sostiene che narrare di disastri ambientali sia una storia debole, perché manca il pathos, non ci sono eroi in cui identificarsi, e neanche azioni memorabili, ma voglio credere che non sia così, perché dietro le motivazioni di una scelta, e una storia è prima di tutto una scelta, c’è sempre una connessione con qualcosa di più misterioso e più profondo di quello che possiamo raccontare, ma soprattutto perché è necessario ripartire da quella distanza, da quella ferita aperta. Dobbiamo rifare il mondo, un mondo più equilibrato, più naturale, più attento, più femminile. Il fatto che nel libro manchi una componente essenziale, il fatto di trascurare una prospettiva più ampia e più completa, una visione d’insieme che faccia nuova luce sulle cose, facendo riemergere il profondo legame con la Terra, un legame fisico, emozionale e psichico, è il motivo per il quale mi sarebbe piaciuto scrivere di un altro libro, ma oggi scelgo questo. E lo scelgo perché adesso è più importante agire, il che significa rivedere ciò che metteremo sulle nostre tavole non tra qualche anno, ma tra qualche ora. Il rischio è alto, gli ‘occidentali’ hanno compiuto delle scelte e questo è il risultato, questa è la conseguenza del danno, in tutti gli ambiti: sociali, ambientali e culturali. Quindi, se siamo capaci di cambiamento, facciamo qualcosa di concreto subito, ma non dimentichiamo che in ogni trasformazione si opera in due direzioni, esternamente e internamente, altrimenti il rischio è di non muoversi.