Enrique Vila-Matas ce lo racconta in questo strepitoso libro, tessendo una ricca trama della letteratura del No, intrecciando episodi e biografie di scrittori che hanno, impudentemente o accidentalmente, smesso di scrivere.
“Mi accingo dunque a passeggiare nel labirinto del No, lungo i sentieri della più inquietante e attraente tendenza delle letterature contemporanee: una tendenza che offre l’unica strada rimasta aperta all’autentica creazione letteraria; una tendenza che, aggirandosi intorno all’impossibilità della scrittura, si interroga su che cosa essa sia e dove si trovi; una tendenza che dice la verità sulla prognosi grave, ma estremamente stimolante, sulla letteratura di questa fine millennio.”
Si tratta di uno zibaldone progettuale e preparatorio di un’opera in fieri. Il protagonista è un impiegato, metà Pessoa e metà Kafka, che ritrova lo slancio della scrittura, dopo lunghi anni di silenzio, immergendosi nell’impresa travagliata della stesura di un testo sugli scrittori del No. Numerosissime sono le occasioni biografiche raccontate, aneddoti immaginari o reali di scrittori che hanno scelto di non scrivere. L’autore dissemina trame e citazioni complici, accenna intrepretazioni di letture, innesta personaggi originali sulla falsariga di scrittori famosi, delinea profili che mettono in risalto i vezzi, le debolezze e le stravaganze di individui inclini all’insensata attività letteraria, e all’impasse che li accomuna tutti: la rinuncia, la negazione del fare. Le circostanze per cui molti di loro hanno scelto di non scrivere, o meglio, hanno ‘preferito di no’ – parafrasando la famigerata frase di Bertlebly, l’enigmatico personaggio fuoriuscito dalla penna di Melville e che finì per sancire il silenzio del suo stesso autore – sono suggellate da un alone di mistero, una dinamica imperscrutabile. Per questo motivo l’intento dell’opera, che viviamo passo dopo passo insieme al protagonista, è quello di porsi continue domande, di meditare sulla questione e soprattutto sulle motivazioni di una scelta – quella di non scrivere – che sembra essere irrimediabile, radicale ed estrema.
La domanda fatale spesso viene vissuta implicitamente, ci si scansa, si sorvola, si elude, si attende che cali il sipario, che la nebbia confonda i contorni, cercando di lasciar passare inosservata quella questione insulsa, fastidiosa, convincendosi di tralasciare un dettaglio inutile, una velleità fulminea. Del resto, come rispondere ad una domanda inutile, forse lo si può fare incarnandone la risposta o ripiegandosi sullo stereotipo, quello che ha a che fare con il tutto-già-detto, quello che ha a che fare con il limite, parola contraria all’arte. Ma talvolta accade che persino nel formulare l’alibi del No, s’insinui lo spettro letterario, ovviamente non scritto. “Perché non scrivo?” si sentì dire Juan Rulfo a Caracas nel 1974, “Perché è morto lo zio Celerino, che mi raccontava le storie. Chiacchierava sempre con me. Ma era molto bugiardo. Mi raccontava menzogne allo stato puro, e quindi, naturalmente, ho scritto menzogne allo stato puro. A volte mi parlava della miseria in cui era vissuto. Ma lo zio Celerino non era povero. Essendo un uomo rispettabile, come disse l’arcivescovo delle sue parti, fu designato per cresimare i bambini, di paese in paese. Perché quelle erano terre pericolose e i sacerdoti avevano paura di andarci. Io accompagnavo spesso lo zio Celerino. In ogni luogo dove arrivavamo c’era un bambino da cresimare, e lui veniva pagato per farlo. Tutta questa storia non l’ho scritta, però magari un giorno lo farò. È interessante quel nostro vagabondare di villaggio in villaggio, a cresimare creature, dando loro la benedizione di Dio e cose simili, no? E per di più lui era ateo.” Ora, tra le innumerevoli e ingegnose motivazioni della scelta del No, quella di Rulfo è sicuramente la più esilarante e soprattutto la più letteraria. Tanto che, in fondo, ciascuno scrittore potrebbe avvalersi di questa trovata (anche se lo zio Celerino sembra sia esistito davvero), sostituendola all’inflazionata mancanza d’ispirazione, perché proprio qui, la letteratura della negazione dichiara il proprio manifesto.
Dopo aver passato in rassegna la lista scura del No, il curioso protagonista a caccia di scrittori dimissionari ha bisogno anche d’imbattersi in chi ha scelto il Sì. “Schiacciato da tanti soli neri della letteratura, ho cercato qualche istante fa di recuperare un po’ di equilibrio tra il sì e il no, trovare un qualche motivo per scrivere. E ho finito per rifugiarmi nella prima cosa che mi è venuta in mente, alcune frasi dello scrittore argentino Fogwill: ‘Scrivo per non essere scritto. Ho vissuto scritto per molti anni, rappresentavo un racconto. Suppongo di scrivere per scrivere ad altri, per agire sull’immaginazione, la rivelazione, la conoscenza degli altri. Forse sul comportamento letterario degli altri’.”
Con Bartleby e compagnia, Enrique Vila-Matas ci regala una coinvolgente avventura nel mondo dei pettegolezzi letterari. La narrazione confidenziale e diaristica ci rende partecipi del tormentoso immaginario che impregna l’attività di scrittura, ma continuamente ci strizza l’occhio, lasciando trasparire un’acutissima verve giocosa: la sottile ironia di ogni pretesto, la scintilla da cui prende avvio il piacere stesso del raccontare.
Autore: Enrique Vila-Matas
Titolo: Bartleby e compagnia
Editore: Feltrinelli
Anno: 2012