Questa non è una biografia. È molto di più. La stessa esistenza di Dick è un romanzo dalle mille trame, percorsi paralleli e alterni, personaggi contraffatti, esistenze o persistenze impossibili, inverificabili. La penna di Carrère ne ha sviscerato i sogni e gli incubi migliori, ne ha immaginato le atmosfere, i suoni, gli odori, ne ha connesso insieme i dati, i luoghi, le persone, le relazioni, e ne ha fatto una trama suggestiva, una potenziale esistenza che lo stesso Dick avrebbe letto di buon grado. Essere Philip Dick, di per sé, è già un grande romanzo. Nonostante la passione per lo scrittore di fantascienza più celebrato nel mondo, Carrère non si lascia mai risucchiare completamente dall’universo dickiano, cerca, tenta di rimanere al di qua della soglia, anche se la fascinazione è potente. Si cade, ma con gusto, in quello che potrebbe esser un assoluto edonismo dell’altrove. Carrère ricoscruisce la vita dello scrittore attraverso la genesi dei suoi racconti e romanzi, ne sviscera le ispirazioni, le influenze e le correnti dominanti. Lo scrittore vive all’interno d’un’epoca che ne esalta l’inclinazione personale “nel 1964 Dick ebbe la splendida sorpresa di scoprirsi perfettamente in sintonia con lo Zeitgeist. Lui che si era sempre sentito emarginato si ritrovò a vivere in un’epoca in cui i margini erano il centro del mondo e si stabilì allegramente al margine dei margini, nell’ambiente degli scrittori di fantascienza della Baia di San Francisco, che si erano convertiti ai capelli lunghi, ai gioielli etnici e all’erba.”
L’accordo stridente aveva squarciato fin dall’inizio la vita di Phil. Le note inquietanti si erano insinuate tra le pieghe dell’esistenza e continuavano a proiettare una via alternativa, un percorso sbiadito, una dimensione parallela. Jane, la sorella gemella di Dick, ha sempre rappresentato quell’altra parte, quella zona di confine, quella pseudorealtà. Fin dal principio l’autore ha percepito d’esser un dilacerato. Una parte di sé era morta con la sorella gemella appena nata, e lui era vivo. Ma attraverso gli esperimenti della sua scrittura, attraverso il percorso delle storie che sembravano attenderlo proprio al di là dello specchio, le immagini aliene e alienanti che prendevano forma e davano forma al suo universo, Dick iniziava a capovolgere quelle due figure. Fino a chiedersi: chi davvero vive? Lo scrittore ricorda un’intervista fatta a Mark Twain, anche lui aveva un gemello “lui e Bill da neonati si assomigliavano al punto che per distinguerli i genitori avevano legato al polso di ognuno un nastrino di colore diverso. Un giorno li lasciarono soli, senza controllo, nella vasca da bagno, e uno dei due annegò. I nastrini si erano sciolti. Per cui, concludeva Mark Twain, non si è mai saputo chi dei due sia morto, se io o Bill.” Questa storia Phil la sentiva praticamente sua.
“Quando per dare mordente all’intreccio, aveva introdotto la figura di questo scrittore che, all’interno del libro, ne scriveva uno per così dire complementare, non sapeva ancora se lo avrebbe fatto comparire, se i suoi personaggi lo avrebbero visto oppure no. Forse era meglio che la sua esistenza restasse incerta. L’idea di rappresentarlo lo affascinava e lo intimoriva al tempo stesso. Un po’ come avvicinarsi a uno specchio. Andare incontro a se stessi e chiedersi chi sia quello che si avvicina. Un riflesso, certo, un semplice riflesso. Ma alcune persone non possono fare a meno di immaginare che lo specchio abbia una sua profondità, che al di là di quella superficie apparentemente piatta si celi un mondo altrettanto compiuto e reale del nostro, se non di più. Che il corridoio di cui intravediamo l’inizio continui anche nel mondo dello specchio. E così, a poco a poco, è facile arrivare a convincersi che il vero mondo sia quello dall’altra parte dello specchio e che siamo noi a vivere nel riflesso. Phil lo sapeva fin dall’infanzia, e sapeva anche qualcosa in più degli altri: perché lui sapeva chi c’era dall’altra parte dello specchio. Da questa parte, in quella che gli dicevano essere la realtà, Jane era morta e lui no. Ma nell’altra era il contrario. Lui era il morto, e Jane scrutava trepidante lo specchio in cui abitava il suo povero fratellino. Forse il vero mondo era quello di Jane, forse lui viveva nel riflesso, nel limbo. Per evitare che si spaventasse, avevano riprodotto la realtà alla perfezione, ma la verità era che viveva fra i morti. Un giorno, pensò, bisognerà scrivere un libro su questo tema: come un tizio scopre che siamo tutti morti.”
Nota
Nella foto in alto ho accostato al libro di Carrère l’album Sister dei Sonic Youth. Entrambi sono un omaggio alla vita e all’opera di Philip K. Dick.
Autore: Emmanuel Carrère
Titolo: Io sono vivo, voi siete morti
Editore: Adelphi
Anno: 2016