Nelle stesse acque profonde

 

 

“Ora se ne sono andati tutti, disse Luis. – Sono rimasto solo. Sono entrati in casa per far colazione, e io sono rimasto in piedi contro il muro, tra le piante. È mattina presto, la lezione non è ancora cominciata. I fiori spiccano ad uno ad uno contro il fondale verde. I petali sono arlecchini. Gli steli emergono dai buchi neri sottoterra. I fiori sono pesci di luce che nuotano in acque verdi, scure. Ho in mano uno stelo. Io sono lo stelo. Le mie radici affondano nelle profondità del mondo, in una terra prima secca, dura, poi umida, sempre più giù, attraverso vene di piombo e d’argento. Sono pura radice. Ogni specie di vibrazione mi scuote, e il peso della terra grava sulle mie costole. In alto i miei occhi sono foglie verdi, non vedono.”

 

È Virginia Woolf, sono Le Onde.

Il flusso travolgente, la resistenza all’apnea, il crescere dell’onda che sale, sale sempre di più, e dura un istante, un’intera vita o l’eternità. L’onda è la forma di questo romanzo. Le parole sono sprofondate, irrimediabilmente annegate nel mondo, e tuttavia trafitte da una luminosità intermittente. La liricità di questa prosa dilaga senz’argini, è liquida e irradiante. Sei sono i protagonisti di questo romanzo musicale, eppure sembrano la proiezione di una moltitudine, cento anime di un’anima. La trama si tesse attraverso un continuo raccontarsi, ognuno di loro si perde dentro il divenire della propria storia immaginata, vissuta, ricordata, moltiplicata, osservata da un angolo, godendone il contorno o il centro. Una passeggiata in un parco londinese, l’interno di un vecchio edificio al crepuscolo, le voci dell’infanzia. Il fulgore della vita li attraversa come una lama di luce, lo scorrere delle loro fluviali esistenze arriva ovunque, scorre sopra ogni cosa, ogni sguardo. Sono onde durevoli che suonano melodie di altri mondi, che vibrano dentro tutte le pietre, si sollevano col vento, sfavillano fra le foglie. Sono onde continue, legate dalla ragnatela invisibile che un’ultima pioggia ha imperlato. “Che strano sentire il filo che a partire da noi dilata le sue maglie sottili fino a invadere gli spazi nebulosi del mondo circostante. S’è ne andato, io sono qui con in mano le sue poesie. Tra di noi questo legame.”

La percezione del mondo si amplifica, tutto sembra diventare qualcos’altro. Ogni gesto, per quanto intimo o superfluo, diventa una sinfonia.

“Verso una tazza di tè dopo l’altra, mentre i fiori ancora chiusi si tengono dritti in mezzo alla tavola tra i vasetti di marmellata, le pagnotte del pane e il burro. Non parliamo. Poi vado alla credenza e prendo i molli sacchetti ripieni di succosa uva sultanina, spargo la farina sul tavolo bello pulito. Impasto, allungo, tiro, affondo le mani nelle calde interiora della pasta. Faccio scorrere a ventaglio l’acqua fredda tra le dita. Il fuoco scoppietta, le mosche ronzano. Il riso, l’uva passa, i sacchetti azzurri o color argento sono tutti chiusi nell’armadio. La carne è in forno, il pane sotto il panno pulito lievita, diventa una soffice cupola. Il pomeriggio vado al fiume. Il mondo tutto è fecondo. Le mosche volano di erba in erba. I fiori sono gonfi di polline.”

La visione è persistente e totale. Durante la lettura, nei momenti in cui l’abbandono all’acqua viene meno, e si corrobora la resistenza del lettore, ci si chiede: leggo di un sogno ad occhi aperti o ne sono letto? I protagonisti compiono azioni in un non-tempo, le azioni quotidiane diventano rituali onirici; non è mai chiaro se loro stessi si vedano partecipi della vita o ne siano totalmente assuefatti. Le loro azioni divengono pensieri, i pensieri sensazioni, le sensazioni si fanno ricordi o futuri. È un continuo travaso di liquidi. C’è uno scambio continuo, dentro e fuori. L’ordinario si trasforma in canale, il canale verso una dimensione ultradimensionale e panica. A minaccia di questo sentimento assoluto v’è il bilico, il vuoto, l’assenza di qualcosa, un irrimediabile strappo nella memoria o nelle trame delle singole storie, una lacerazione che conduce continuamente allo stato d’inizio: l’oscillazione dell’onda all’alba. Gli individui perdono la loro consistenza mescolandosi al grande mare, ma questa progressiva e ineluttabile disgregazione si fa strumento, sono essi stessi strumento che suona e risuona in ciascuno dei loro canti.

 

Nota alla foto in alto.

Ho accostato Le Onde alla copertina di Disintregration, concept album di una nota band britannica. L’allusione è riferita alla citazione iniziale che sembra descrivere la cover del disco. Legami sottili.

 

Graziana Garofalo

 

 

 

Titolo: Le onde

Autore: Virginia Woolf

Traduttrice: Nadia Fusini

Editore: Einaudi

Anno: ed. 2002

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