Pensieri della mano

 

Le mappe sono potenti indicatori di senso. Il paesaggio è ovunque: una collina, un palmo, un bosco, un volto. La mano dell’artista ne riproduce gli angoli cavi, i sentieri, gli avvallamenti, le distese interminabili, le prominenze, le ferite. I segni tracciati dalla grafite ricostruiscono il mondo delle possibilità, gli incantesimi dell’arte lo trasformano. E gli occhi si rinnovano, si attardano sul foglio per farsene comprendere.

La mano è direttamente connessa a una memoria remota che la muove. Il farsi di un segno è guidato da un contatto reale, un contatto fisico. Tullio Pericoli ne parla insieme a Domenico Rosa in Pensieri della mano, edito da Adelphi e presentato il 16 marzo a Libri Come, i temi affrontanti nel testo ruotano tutti intorno alla magia dell’arte, all’ispirazione, alla creazione, al processo artistico. Il libro è suddiviso in quattro capitoli e una nota in chiusura. La formula è quella di un libro-intervista, le numerose domande di Rosa invitano l’amico Pericoli a mettere insieme alcuni elementi fondamentali della sua poetica, a ricostruirne un disegno intimo.

Il libro si apre citando Kant “La mano è la finestra della mente”, poiché la mano e la mente agiscono insieme, ma separatamente, l’una ignara dell’altra. “Se la mano trasmette le proprie impressioni, quasi fosse un essere autonomo, con una mente e una capacità creativa proprie, dobbiamo riconoscerle un’identità”. Lo sguardo dell’artista diventa più acuto quando comincia a sentire la propria mano come una parte distaccata da sé, una parte che agisce indipendentemente la sua volontà conscia.
La dimensione della distanza e della memoria attraversano trasversalmente l’intera conversazione. Pericoli spiega che è necessario favorire il distacco: “la mano è una parte di me che aiuto a separarsi da me”. Si gioca una partita tra l’artista e la mano, tra lucida volontà e sapienza obliata, tra intenzione razionale e memoria remota. Bisogna farsi stranieri di se stessi per poter fare, ma anche per poter vedere. C’è una distanza del fare e una distanza del vedere. Quando l’autore parla del rappresentare i paesaggi della terra d’origine, riemerge il tema del distacco: “dei luoghi in cui abitiamo e abbiamo radici, dobbiamo farci stranieri, per poterne definire i contorni, per poterli vedere e comprendere”. Perché è necessario non esser com-presi per poter comprendere.

Il volto umano e il paesaggio parlano la stessa lingua, la lingua visiva, Pericoli ne legge e ne decifra i segni, seguendo gli indizi seminati da linee e forme. Nel ritrarre un volto vi è una profonda indagine, l’artista si affida non solo ai lineamenti ma anche al dettaglio che rende unico e irripetibile quel viso. Non esiste una riproduzione oggettiva, quello che vediamo è frutto anche di ciò che vogliamo vedere, e di quanto siamo disposti a spingerci oltre per poterlo disegnare, per poterlo cogliere, conoscere, poiché conoscere è un modo di vedere.

Lo stesso discorso vale per il paesaggio, l’artista ne coglie la morfologia, la superficie e gli strati sotto la superficie, ma l’indagine, sottolinea Pericoli, è diversa, poiché nel paesaggio non si entra in relazione con l’altro, ma con la propria interiorità. Non esistono paesaggi che non siano mentali, poiché in qualche modo noi ne siamo una continuazione, un’espressione. L’artista riproduce ciò che resta nascosto o invisibile, immagina il sentimento del tempo e della durata di quel luogo; di quella porzione di luogo che una volta riprodotta su tela diventa una veduta nuova dello stesso scenario.
L’uso degli attrezzi, dei colori e delle superfici sono argomento funzionale all’aspetto teorico, l’autore ne parla ampiamente, come l’uso del colore e la predilezione della pittura ad olio. Ma si sofferma anche sulla concezione di sguardo, come la veduta aerea che caratterizza alcuni suoi lavori, una prospettiva dall’alto verso il basso e viceversa, che sonda le profondità della terra, le stratificazioni, la geologia, la storia millenaria, e infine ne riproduce le mappe della superficie.

Il processo creativo è il segno distintivo delle opere di Pericoli. Se ci fosse una nota di testo a cornice delle sue opere sarebbe: “Io sto disegnando, sto dipingendo, sto tracciando dei segni”. Come se chi fruisse dell’opera continuasse a vedere il farsi dell’opera, il fruscio della matita sul foglio, il formarsi delle figure. C’è un piacere smisurato nel veder tracciare un segno, Pericoli lo racconta parlando del riso di suo figlio Matteo. Racconta che quando era piccolo gli chiedeva spesso di disegnare, e la vista di quell’azione scatenava in lui una gioia pura, un riso irrefrenabile, suscitato non tanto dalle figure che venivano rappresentate, quanto dall’atto stesso del disegnarle.

Tullio Pericoli non solo disegna boschi, ma ne conosce anche la vita, lo svela Domenico Rosa nella nota di chiusura al libro, l’artista “conosce i nomi degli alberi, i tempi delle migrazioni, sa distinguere i funghi e i versi degli uccelli”, non c’è differenza nel saper disegnare un bosco e nel saper camminarci dentro, tutto confluisce in “un’unica sapienza utile”, una sapienza data da una visone più ampia della realtà, da un intreccio armonico di punti di vista differenti.
La piacevole conversazione intorno all’arte si scioglie infine con un accenno al mistero della questione, perché “una parte di mistero rimane” e non potrebbe essere altrimenti, poiché il mistero fa parte della trasformazione che l’artista opera dentro di sé, e che affiora attraverso “quel conduttore calorico che è la mano, che finora ha unito la superficie all’attrezzo, al braccio e al nostro corpo”.

 

Graziana Garofalo

 

 

 

 

Titolo: Pensieri della mano

Autore: Tullio Pericoli

Ediore: Adelphi

Anno: 2014

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *