Una galleria di personaggi strabilianti quella di Bufalino, eroi di carta, personaggi di carne, miti e leggende, ognuno rivive dentro nuove parole, dentro nuove storie. L’intimità con cui lo scrittore modella i personaggi, storici o inventati, crea una componente di condensazione nel testo, ci sono molti libri in dialogo tra loro, ci sono nomi e identità a cui affidare (e confidare) smisurate riflessioni. I personaggi si inventano da sé, come se a scrivere non fosse l’autore, ma lo sproloquio dei fantasmi che sognano se stessi.
Ogni racconto ha un suo universo, scaraventa il lettore al suo interno senza esigere chiarimenti ulteriori. Ci si ritrova a passeggiare con Baudelaire patteggiando l’acquisto di un libro, si ripercorre sotto una singolare prospettiva il mito di Orfeo e Euridice, si discute con Gorgia inseguendo una farfalla, ci si imbatte in un Chisciano che si domanda chi è veramente. Si resta esterrefatti dalla favella dello scudiero Sancio, che impettito come un oratore di gran corte rivela tutta la fede alle follie del suo signore. Vuole trattenerle, vuole raccontarle. Ma sono figure labili, ghermite da artigli. Fantasmagorie che lo stesso cavaliere errante, rinsavito, nega. Un capovolgimento dunque.
Insomma, Bufalino inventa una vita alternativa o parallela alle celebri vicende dei personaggi, elaborando un’illustre mitografia. È come se lo scrittore riavvolgesse il nastro di celluloide e ci mostrasse il dietro le quinte, il making of delle storie di carta. Inventa gli incontri, le occasioni, i deliri, costruisce favole da piccoli frammenti e pretesti, per dire che basta un poco di luce per scorgere un “visibilio celeste” e restarne contaminati ed esterrefatti per sempre.
La raccolta prende il nome dal primo racconto L’uomo invaso, titolo pruriginoso, denso. Titolo che in qualche modo è una chiave di lettura per tutta la silloge. Bufalino racconta di miserie e avventure che accadono agli uomini che, volenti o nolenti, hanno intravisto uno scorcio di verità, seppur superficiale. L’esperienza, se non saputa arginare, fa scattare una trappola.
Tutti i personaggi subiscono una metamorfosi, o assistono a un cambiamento, una mutazione, anche minima, a volte barbara. In ognuno di loro risiede una curiosità, un desiderio, o il desiderio di placare quella curiosità. C’è chi cerca, chi insegue, chi è alla fine della corsa, chi è ancora in viaggio, chi sogna, chi si disillude. Nelle fenditure che si increspano tra le pagine sembra aleggiare sempre la stessa invocazione, forse di ascendenza shakespeariana “Signore fammi dormire. Oppure fammi morire” perché la veglia ad occhi aperti è penosa e pesante. L’uomo invaso riconosce in sé una trasfigurazione.
È un angelo spergiuro e insolente che ride, è una coscienza gravata, sofferta. Non c’è possibilità di cancellarne il passaggio, come quando l’ombra netta della notte lascia il posto a un’alba di sangue, come quella che vede Chisciotte (o Chisciano?) e che gli svela la morte come scenario ultimo e assoluto della sua avventura. Non ci si può nascondere, i personaggi sono nudi, abbandonati ed esposti violentemente alla luce.
L’uomo di Bufalino è invaso dalla luce, invasato sì, ma di lucida follia. È un uomo colmo di splendore, quasi ne trabocca. È un uomo conquistato, invaso. Nonostante tutta la consapevolezza e la forza di necessità, la condizione è poco agevole, poco propizia, è una condanna. “E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce” a capo della Ginestra di Leopardi, sembra qui coincidere con quello sgomento che procura la luce, la verità. Nel Dialogo di Timandro ed Eleandro questo concetto viene esplicato passo passo, ovvero che non dall’ignoranza vengono i mali ma dalla conoscenza.
C’è profondo pessimismo, è come se i personaggi si fossero arresi ai loro stessi mondi. La conoscenza fa male, eppure non la si può eludere dalla vita, non se ne può fare a meno. A volte è il caso che agisce e si compiace, che gioca a sbrindellare le lettere, creando equivoci, alterando e sformando le dimensioni, i punti di vista. Ma il caso non esiste, poiché tutto si rinnova, tutto era già stato previsto, anche gli strappi al cielo di carta dei personaggi del Gran Teatro che la luce, l’hanno ardentemente voluta.
Titolo: L’uomo invaso
Autore: Gesualdo Bufalino
Editore: Bompiani
Anno: ed. 2016
Nota: nella foto in alto è presente
un’edizione Bompiani del 1986.