“Qui la pioggia è assoluta, grandiosa, terrificante. Chiamare una simile pioggia maltempo, sarebbe sproporzionato, come chiamare beltempo il sole a picco, folgorante. Questa pioggia si può chiamare maltempo ma non lo è. È semplicemente tempo, e il tempo è maltempo, e ci ricorda espressamente che il suo elemento è l’acqua che cade. […] E quanta acqua si raccoglie su quattromila chilometri d’oceano, acqua che si rallegra di poter toccare finalmente uomini, case, terraferma, dopo essere caduta per tanto tempo solo su altra acqua, solo su se stessa. Che gusto mai può provare la pioggia a cadere sempre e soltanto sull’acqua? Quando la luce elettrica viene a mancare, quando la prima lingua d’acqua da una pozzanghera s’insinua serpeggiando sotto alla porta, silenziosa e piatta, e luccica al riflesso del fuoco nel camino; quando il giocattolo abbandonato in terra, come sempre, dai bambini, e qualche sughero o pezzetto di legno cominciano improvvisamente a galleggiare spinti in avanti dalla lingua d’acqua, quando i ragazzi impauriti scendono giù dalla scala e si accucciano davanti al fuoco del camino (più stupiti che spaventati, perché anche loro sentono con che gusto la pioggia, e il vento si mischiano e che quell’urlare e un urlare di gioia), allora si capisce che noi non saremmo stati degni dell’arca quanto Noè.”
H.Boll, Diario d’Irlanda