“ … costruito dai Troiani o dagli Elìmi, dedicato alla Venere celeste, alla Diana delle cacce o alla Cerere delle messi siciliane, questo tempio sul ciglio d’una latomia, d’un pauroso abisso in cui vi scorre un fiume, privo di sacra cella e copertura, non scanalato nelle colonne o scalpellato nelle bugne dei lastroni, io sòspico gli antichi giammai vollero concludere o finire.
Come porta o passaggio concepire verso l’ignoto, verso l’eternitate e l’infinito. L’ignoto oltre la vita, metafisico, che nei riti notturni e sotto il cielo stellato le madri, per la gran Madre comune e originaria, vollero sondare; l’eternità indietro da cui viene e avanti in cui trapassa l’incompiuto tempio e inanimato, e ogni vita, labile granello, favilla d’un istante; l’infinito oltre questo tempio, questi colli, questo paesaggio petroso di Tebaide, oltre quest’isola dal passato morto, dal presente tumultuoso e tragico per cui ora mi sogno di viaggiare.
Sedetti sullo stilòbate, fra le colonne, sotto l’architrave, da cui pendeva e oscillava al vento il cappero, il rovo, l’euforbia, a contemplare il deserto spazio, ascoltare il silenzio spesso su codesto luogo. Un silenzio ancora più smarrente per lo strider delle gazze, dei corvi che neri sopra il cielo del tempio e sopra il vuoto della gran voragine grevi volteggiavano, per il frinire lungo di cicale e il gorgogliar delle acque del Crinisio o Scamandro che dall’abisso, eco sopra eco si levava.”
Retablo, Vincenzo Consolo