“Pittori o poeti, hanno tutti bisogno di un grande paese esclusivamente loro, quello dei propri sogni. I loro poemi, i loro quadri, sono gli appunti di viaggio, gli schizzi dell’esploratore; essi tracciano i confini di quelle terre sconosciute, dalle quali il Champlain o il De Gama che è in loro se ne andrà via, quando saranno invase dalle folle; ma se ne andranno solo per cercare altrove, e ancora più lontano, il Salento o l’Eldorado personale, e le Isole Felici, il Promontorio delle Essenze Aromatiche o quello degli Spaventi. Intere generazioni hanno trovato nella tradizione greca la chiave d’ingresso ai Campi Elisi. Essa ha risolto il duplice problema comportato da un sistema simbolico tanto articolato da consentire le più complete confessioni personali, e tanto generico da poter essere immediatamente recepito; anche un accenno di lettura di una rivista di poesia contemporanea, o un solo sguardo a un’esposizione di quadri – dove si esprime il lavoro di ogni singolo poeta o pittore, teso a ricreare dal caos un codice personale di segni – ci mostra fino a quale punto il muoversi delle idee possa risentire di questa mancanza di riferimenti universalmente accettati. Da Virgilio a Paul Valery, questa tradizione ha schiuso a tutti loro le porte di un paese sufficientemente vasto da consentire a ognuno di stabilirvi il proprio distretto, abbastanza deserto per potervi passeggiare nudi, ma al tempo stesso popolato da fantasmi che cantano. Molto presto, e a sicuro vantaggio dell’immaginazione dell’uomo, il prestigio dei miti ha lentamente trasformato in concetti mitologici i luoghi stessi dove il mito aveva avuto origine, stabilendo così un vasto paese fittizio in parallelo a quello segnato sulle carte, dove Citera e Lesbo sono isole, ma anche luoghi da cui osservare le passioni; un paese che comprende le Porte degli Inferi, ma anche il golfo di Corinto; dove l’Arcadia somiglia a volte alla Provenza, a volte all’Inghilterra; si estende ad est nelle leggende del vicino Oriente, dove ogni pittore riedifica secondo il suo estro Gerusalemme o Costantinopoli; e si estende ad ovest, lungo le mura di una Roma i cui cittadini sfoggiano il berretto frigio e le picche della Convenzione. I cinquecento anni del giogo turco, che ridussero la Grecia a terra pressoché inesplorata, a proposito della quale Racine chiedeva ragguagli all’ambasciatore di Francia, hanno forse contribuito a questa sovrapposizione di paesi immaginari ai paesi reali; ma una simile trasfigurazione si era già verificata presso gli stessi Greci: nel coro dell’Edipo a Colono, in cui Sofocle contribuisce alla creazione di un’Atene leggendaria; nel fregio del Partenone, nel quale i magistrati e le reclute si distinguono a stento dagli dèi, nel discorso attribuito da Tucidide a Pericle, dove Atene assurge a luogo ideale quanto la Repubblica di Platone. Di questa Grecia leggendaria, Pausania sarà il turista, Plutarco il cronista e Adriano il generoso mecenate.”
Pellegrina e Straniera, M. Yourcenar